Il calcio visto dall’arbitro

5
min di lettura

Il calcio visto dall’arbitro

Mer, 31/03/2021 - 21:41
Pubblicato in:
L’esperienza in giacchetta nera di Ezio Simonelli, dirigente della Bormiese (dalle pagine di Bormio Sport)
Ezio Simonelli

Il mondo dell’arbitraggio, per i profani, è molto semplicistico e chiaro: da una parte ci stanno le squadre in campo, dall’altra ci sta il direttore di gara. Anch’io la pensavo così sino a poco tempo fa, poi ho fatto quattro chiacchiere con un “Signor Arbitro”, uno che è arrivato piuttosto in alto, e ho scoperto che non è proprio così e che il settore arbitrale è estremamente variegato e complesso. Ezio Simonelli, classe 1949 e “purosangue sondalino”, come ama definirsi, ha un curriculum di tutto rispetto nel mondo del calcio locale e nel settore arbitrale in particolare; lo testimoniano i riconoscimenti ricevuti negli anni, l’ultimo dei quali a Roma nel 2017 come Dirigente Benemerito”.

Domanda d’obbligo: come è partita la tua “carriera” arbitrale?
Lo ricordo molto bene: ero in collegio a Brescia, avrò avuto circa 12 anni, e mi capitava di assistere alle partite di calcio del CSI. Mi sono appassionato e ho iniziato ad arbitrarne qualcuna. Poi, una volta tornato a Sondalo, ho fatto l’esame federale per diventare arbitro FIGC e ho iniziato la gavetta che mi ha portato anche a livello nazionale.

Un percorso inusuale: non mi pare che ci sia la fila per indossare la giacchetta nera, l’arbitro è una figura da molti disprezzata…
Invece ti sbagli, almeno per il calcio. Ci sono parecchi aspiranti alla carriera arbitrale e infatti, se nel corso degli anni non ottieni delle promozioni, sei costretto ad abbandonare per lasciare il posto agli altri. Considera che all’epoca in cui operavo io, dalla serie D in avanti, si contavano circa 200 arbitri e la promozione era riservata a una decina circa di ogni categoria! Semmai, non sono tanti gli aspiranti arbitri che provengono dalla nostra provincia, perché è molto sacrificante e impegnativo seguire questa carriera e sei sottoposto a una certa pressione, tra valutazioni, regolamenti, corsi, visionatori, allenamenti…

Vuoi spiegarci a grandi linee come funziona?
Quando arrivi in serie D, dopo un apposito corso di perfezionamento, sei inserito a livello nazionale e ti possono chiamare ad arbitrare ovunque. Ad ogni partita è presente un ex arbitro con il ruolo di visionatore: significa che ogni tuo atto viene messo sotto la lente e valutato e la somma di queste valutazioni determina un giudizio finale che a sua volta ti consente di essere promosso, o meno, alle categorie superiori. Se entro 3 anni non si riesce a ottenere una promozione, bisogna obbligatoriamente abbandonare per lasciare il posto ad altri arbitri che tenteranno a loro volta di essere promossi.

Mica facile, arbitrare sapendo di essere sempre sotto osservazione
A dire la verità, quando si entra in campo si è proiettati in un’altra dimensione e tutto il resto scompare. Anche il pubblico, gli insulti e tutto il contorno non è influente perché ti concentri solo sul lavoro che devi fare sul campo di gioco. Certo, a fine gara sapevi cosa ti aspettava: il visionatore bussava alla porta dello spogliatoio per avvisarti della sua presenza, poi ti esprimeva le sue valutazioni con tanto di errori fatti e in seguito ti arrivava a casa il verbale con il suo giudizio. Senza possibilità di appello e senza la VAR, come oggi…

Era anche una vita da lupo solitario…
Ah certo! Ad esempio, io non sapevo chi fossero i miei assistenti di gara, lo scoprivo direttamente sul posto, mentre oggi la terna arbitrale si mette d’accordo e magari fa il viaggio insieme. Io, invece, ho sempre fatto le trasferte da solo: da Sondalo mi mandavano ovunque, fino in Sardegna o in fondo alla penisola. Partivo il giorno prima della gara e rientravo il giorno dopo, quasi sempre a notte fonda, e dopo il viaggio lunghissimo dovevo anche preparare il rapporto che partiva il lunedì… un bell’impegno!! Sicuramente per chi avesse famiglia è difficile conciliare questa carriera.

Quale preparazione era richiesta?
Sia tecnica sia fisica, sono entrambe fondamentali. Però, normalmente, noi non avevamo né preparatori che ci seguivano né un programma predefinito, come magari accade oggi, e ci dovevamo arrangiare. Solo periodicamente si facevano dei corsi di aggiornamento che comprendevano sia lo studio dei regolamenti e sia le prove
atletiche.

Aspiravi a una carriera?
Certo, mi sarebbe piaciuto, ma dopo 3 anni in serie D ho dovuto lasciare e ho fatto il corso per diventare io stesso un visionatore sul campo. Sono stato anche docente in alcuni corsi di formazione e ho operato nell’Associazione Italiana Arbitri come delegato tecnico alle designazioni provinciali e come presidente della sezione arbitri di Sondrio. Nel 1995 ho lasciato il mondo arbitrale e sono diventato dirigente calcistico prima dell’A.S. Sondalo e poi - inseguito da Pierluigi - dell’US Bormiese.

Un percorso ricco di soddisfazioni e di qualche incontro eccellente
Sicuro! L’impegno di questi anni, al di là delle promozioni, è stato gratificante e nel mio piccolo ho cercato di contribuire alla crescita dello sport in valle. Quanto agli incontri eccellenti… qualcuno mi è capitato perché in serie D si arbitrano le partite della categoria “Primavera” dei professionisti, ossia i giocatori giovani dei grandi club. Ne ricordo alcuni, che poi sono stati anche in nazionale: Paolo Rossi, il portiere Giovanni Galli, Roberto Rosato, Marino Perani, Romano Fogli…

Cosa ricordi più volentieri?
Mah, gli episodi sono stati tanti… Sicuramente ho scoperto che fare l’arbitro mi aiutava ad essere più deciso e determinato anche nella vita reale, posso dire che l’arbitraggio è una scuola che forma il carattere, aiuta nella vita e ti fornisce un bagaglio tecnico che ti resta per sempre e di questo sono grato alla mia esperienza. Mi piaceva, in alcune trasferte, cogliere l’occasione per fare delle piccole passeggiate turistiche alla mattina, prima della gara, come a Venezia. E poi in Sardegna,
ho un ricordo molto bello della famiglia del compianto Domenico Careddu: dovevo arbitrare a Calangianus (CA) vicino a casa sua e fui ospite di sua madre e di suo zio, che furono eccezionali nel farmi sentire come in famiglia. 

Un ruolo che pochi sanno dei direttori di gara: non eravate solo arbitri ma anche esattori!
È vero, in caso di insolvenza eravamo obbligati ad applicare il prelievo coattivo prima della partita. Le società morose dovevano consegnare al direttore di gara un assegno o dimostrare di aver saldato le pendenze, altrimenti l’arbitro era obbligato a non dare inizio alla partita. A me capitò solo una volta di trovarmi di fronte a una società insolvente, ma appena prima della gara mi fecero vedere il bonifico di pagamento e tutto filò liscio.

Trova le differenze tra calciatori e arbitri
A parte i ruoli in campo, le differenze non sono così nette. Gli arbitri sono soggetti a una costante preparazione atletica proprio come gli atleti, hanno regolamenti da rispettare, sono sottoposti a valutazioni, possono venire promossi o retrocessi… un’altra cosa che li accomuna è che entrambi possono essere inseguiti dai tifosi, anche se per motivi diversi!!!

A questo proposito, hai mai vissuto episodi di gravi contestazioni o di pericolo oggettivo?
Qualche situazione difficile è capitata, ma niente di veramente grave. Ricordo due circostanze in particolare: a una partita dell’Interregionale in Campania, il brigadiere dei Carabinieri mi consigliò prudenza perché le squadre erano problematiche e loro troppo pochi… A S. Donà del Piave, invece, dovetti uscire scortato dalla polizia perché dopo la partita, vinta su rigore, ruppero la finestra dello spogliatoio mentre ero sotto la doccia!

La tua esperienza è sicuramente un valore aggiunto per le associazioni di cui fai parte…
Diciamo che mi fa piacere poter dare il mio piccolo contributo fattivamente. Siamo in una piccola realtà, dove le esperienze di tutti possono essere preziose e vanno condivise.

Ci sono settori sportivi dove la mancanza di figure arbitrali è penalizzante, tanto da mettere in serio pericolo lo svolgimento delle partite. Come ovviare a questo inconveniente?
Sicuramente ci vogliono degli incentivi da parte delle Federazioni, per stimolare i giovani a intraprendere questo percorso. Poi, conta tanto il carattere e la capacità di sacrificarsi, perché – come ho detto sopra – per emergere in una realtà periferica come la nostra ci vuole molta determinazione. A livello locale, bisognerebbe semplificare un po’ le cose perché la burocrazia non dovrebbe mai soffocare la buona volontà delle persone.

Caro Ezio, quanto alla semplificazione burocratica temo per l’Italia sia un’impresa impossibile. Non resta che sperare nella buona volontà!

 

 

Anna