LA CHIMERA DELL’UNITA’ VALTELLINESE

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LA CHIMERA DELL’UNITA’ VALTELLINESE

Ven, 13/11/2020 - 19:55
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Quando la pluralità d'intenti diventa una debolezza anziché una forza

13 novembre 2020

Chiedere ai Valtellinesi unità è come chiedere la luna e non è un fatto legato alla contemporaneità: se andiamo indietro nei secoli ci siamo trovati sempre divisi, a partire dal territorio e dalle scelte politiche fatte per accaparrarsi i migliori vantaggi dai Signori di turno, Grigioni, austriaci o milanesi che fossero. Pensiamo solo al fatto che la Valchiavenna esige ab origine il proprio status particolare rivendicando il suo nome accanto a quello della Valtellina (“Valtellina e Valchiavenna”), come se la storia delle altre vallate non fosse altrettanto peculiare e importante (basti pensare all’ex Contado di Bormio).

Se poi entriamo nello specifico di ogni micro territorio, le divisioni percorrono i singoli paesi, le frazioni e persino le piccole comunità, come se il vantaggio di uno non comportasse anche il vantaggio dell’altro. Perché la diffidenza montanara è atavica, così come la necessità di preservare il proprio nucleo identitario, quasi che la condivisione o la commistione con i vicini (anche quelli di prossimità) costituisca un elemento di privazione. Gli esempi si sprecano: dalle unioni di comuni, sinora rivelatesi fallimentari o addirittura abortite sul nascere, al faticoso ruolo di sintesi che le Comunità Montane cercano di portare avanti su ogni territorio, un ruolo spesso impantanato da veti contrapposti e da correnti politiche divergenti. Se poi guardiamo alla promozione turistica, non si contano i tentativi di tenere in piedi strutture che svolgono sostanzialmente lo stesso ruolo, sovrapponendosi e scontrandosi, e questo vale per tutta la Valtellina (e la Valchiavenna).

Non che la pluralità di elementi non sia una forza, tutt’altro! Ma dev’esserci un giusto equilibrio affinché da questa pluralità venga preso il meglio e soprattutto ne scaturisca un’unità di azione in grado di incidere fattivamente a vantaggio di tutta la popolazione. Ora, sul tema scottante della sanità siamo spettatori di un dramma del quale, probabilmente, ignoriamo le reali proporzioni, perché al di fuori dell’emergenza Covid c’è un’altra emergenza che si sta trascurando ed è fatta di persone ammalate e bisognose che non hanno più accesso alle cure. Se c’è una cosa che i cittadini pretendono dalla politica – di qualunque colore sia – sono le soluzioni; ebbene, la politica (soprattutto quella di alto livello) in questo momento non sta rispondendo ai problemi e anzi, li sta semmai aggravando. Nella scorsa primavera poteva valere la giustificazione di una crisi abbattutasi in modo del tutto imprevisto, di fronte alla quale il sistema aveva reagito improvvisando; ma a 7 mesi di distanza non si può più parlare di imprevedibilità, bensì di inadeguatezza nel pianificare una strategia che consenta alla popolazione di sentirsi tutelata dal punto di vista sanitario.

La protesta dei Sindaci dell’Alta Valle – a mio parere – va anche in questa direzione perché è chiaro che il micro-sistema sanitario della Valtellina, per come è ora strutturato, non riesce più a rispondere ai bisogni della gente. E bene hanno fatto i Sindaci nel dare un segnale legato proprio alle Olimpiadi 2026: non si possono considerare le questioni a compartimenti stagni ma si deve inevitabilmente tener conto della complessità che un territorio difficile come il nostro richiede. Il rifiuto nel prender parte al tavolo istituzionale regionale, d’altronde, va di pari passo con i timori sul futuro della sanità valtellinese, che i vertici regionali non hanno minimamente dissipato (l’ospedale di Morbegno ancora attende il recepimento di promesse fatte anni addietro).

E qui, però, torna in gioco la perversione tutta nostra di dilapidare una risorsa facendone una barzelletta. Se al Pirellone dovessero guardare oggi alla Valtellina che sobbolle per la tanto declamata “sanità di montagna”, cosa vedrebbero? Vedrebbero ¾ dei sindaci valtellinesi silenti, ¼ a fare la voce grossa contro il famoso piano del Politecnico, esponenti (o ex esponenti) del Comitato e del Pool giuridico che ora li attaccano ora li blandiscono, un Movimento di Lotta Civile che porta avanti azioni di grande impatto popolare ma – forse – di poco peso politico, un altro Comitato popolare “per salvaguardare il diritto alla salute di tutti i cittadini del mandamento di Morbegno”… e poi, come schegge impazzite, altrettanti rappresentanti istituzionali che sulle piattaforme social si lasciano andare a commenti che, forse, sarebbe stato meglio avessero taciuto in nome di una politica che – in certi casi – fa meglio a lavorare sotto traccia: il sindaco di Piuro che paragona la decisione dell’Alta Valle a quella di un bambino che fa i capricci “perché gli viene vietato di usare il suo giocattolo” (l’ospedale = un giocattolo???), mentre il vicesindaco di Valfurva, che afferma di essere intervenuto alla riunione istituzionale che il suo stesso sindaco ha deciso di disertare e di averlo fatto “in rappresentanza del comune di Valfurva“!!!

Io, se fossi nei vertici regionali, me la riderei alla grande… Stiamo facendo di tutto per toglierci da soli ogni possibilità di cambiare i piani di Regione Lombardia.

 

Anna