VALTELLINA TERRA DI MIGRANTI

1
min di lettura

VALTELLINA TERRA DI MIGRANTI

Lun, 15/04/2019 - 12:46
Pubblicato in:
Storie inedite di emigrazione e immigrazione in Alta Valle

A margine del convegno dei Cardiologi organizzato anche quest’anno a Bormio grazie all’impegno profuso dall’emerito prof. Livio Dei Cas, è stata presentata la nuova pubblicazione curata dal Centro Studi Storici Alta Valtellina con il sostegno della Banca Popolare di Sondrio. “Valtellina terra di migranti”, questo il titolo e il tema scelti per l’edizione 2019, dove l’analisi del fenomeno oggi così drammaticamente attuale si dipana dai lontani secoli passati, invitandoci a una riflessione più ampia sulle problematiche connesse alle migrazioni. Perché anche la Valtellina è stata terra di migranti, sia verso l’esterno sia verso l’interno. Ci sono stati secoli, ad esempio, in cui il Bormiese era diventata la meta fissa di lavoratori stranieri provenienti soprattutto dal Tirolo, geograficamente “vicino”, ma assai lontano in termini di lingua, percorrenza (non esistevano motori) e anche in termini di cultura. Eppure questa migrazione, da tanti malamente tollerata, ha indotto profonde trasformazioni nell’economia e nel tessuto sociale: basterà ricordare che nel periodo 1735-1796 quasi la metà dei nati a Bormio erano figli di stranieri di prima o seconda generazione!

Tra Ottocento e Novecento altre massicce ondate migratorie interessarono il Bormiese, in entrambe le direzioni: molti si recavano all’estero, ma tanti erano pure quelli che rientravano dall’estero. Nel volume vengono raccontate alcune di queste storie; storie di fatica, di improvvisazione, di smarrimento, ma anche di successo e di prosperità, un po’ frutto delle proprie capacità e un po’ frutto del caso: valenti pittori di quadri e di meridiane chiamati a lavorare nel Bormiese, gli emigrati nella vicina Svizzera o nelle lontane Americhe e Australia, i pastori di gregge (soprattutto bergamaschi) che si spostavano “al ritmo della transumanza”, i missionari espatriati per diffondere la parola di Dio, le guide alpine che seguivano i clienti nelle loro peregrinazioni sui massicci montuosi e ancora un carbonaro idealista combattente in Sud America e un brillante medico dedito allo studio dell’anatomia e dell’imbalsamazione in quel di Salò. Storie anche di paura e di diffidenza, come accadeva e accade ovunque verso ciò che non si conosce. A Bormio, nei secoli passati, esistevano norme molto rigide che regolavano la vita economica e sociale dei forestieri, ma questo non impedì loro di insediarsi nella comunità locale e diventarne parte integrante: questo perché lo straniero – se ritenuto utile alla collettività – non era sgradito né malvisto e in effetti molti di essi vissero di onesti lavori, si affrancarono dall’originale stato di meschinità e vennero assimilati alla popolazione locale.

Una cosa è certa ed emerge chiaramente da questo libro: “l’idea che le Alpi, anche nei momenti di minore sviluppo, siano sempre state delle aree aperte e non chiuse verso l’esterno” (G. Scaramellini). E soprattutto che gli effetti dell’emigrazione/immigrazione – pur con tutti i disagi e la sofferenza ad essa connaturati – hanno prodotto nel tempo frutti positivi come, ad esempio, l’alfabetizzazione dei popoli di montagna (la necessità di saper leggere e scrivere per comunicare con i parenti lontani), senza tralasciare il grande vantaggio di poter avere – in chi viene da fuori – “uno sguardo prospettico diverso e quindi arricchente” (L. Bonesio).

 

Anna