LA SPERANZA, OLTRE LA MORTE

Il più grande mistero della vita, è la morte.
Per quanto cerchiamo di negarla o di nasconderla, di demonizzarla o di esorcizzarla, tutti ci troveremo di fronte ad essa e al nuovo cammino che ci dischiuderà.
Le riflessioni di Giacomo Baumgarten riportano "sorella morte" sotto una luce di speranza, che potrebbe anche spingerci a provare a vivere meglio il presente, nella consapevolezza di ciò che saremo chiamati ad affrontare.
Caro Matteo,
ho letto alcuni giorni fa la recensione dell’ultimo libro di Antonio Polito, scrittore ed editorialista del Corriere della Sera, “Qualcosa di noi resterà”. L’autore interroga il tema che questo tempo ha rimosso e si chiede: si può sopravvivere alla morte? Domanda alla quale in un tempo non sospetto, nel corso di uno dei nostri numerosi approfondimenti, abbiamo cercato anche noi di rispondere.
Come tu opportunamente puntualizzavi, miliardi di persone credono di sì.
Tuttavia lo spirito del nostro tempo ci impedisce di parlarne: una cospirazione del silenzio sul morire e sul dopo. Facciamo di tutto per rivolgere lo sguardo altrove, perché la perdita della vita ci fa paura, ci priva del bene più prezioso e dunque è il peggiore dei mali.
Infatti l’uomo d’oggi, in preda alla frenesia del lavoro ed impegnato nella ricerca smodata del benessere materiale, non ha tempo per pensare alla morte. Si guarda bene dal prestarle attenzione.
Ma oltre a tenerla lontano dalla sua mente, non vuole neanche sentirne parlare. Considera sconveniente qualsiasi riferimenti alla morte, che considera la grande nemica, per cui giudica privo di buon gusto colui che osa pronunciarne il nome o introdurla nei suoi discorsi e, come tale, è da evitare, da sfuggire.
Sempre più cacciata e censurata, la morte però risorge e si manifesta in tutta la sua drammatica inesorabilità. Non solo. Con considerazioni estremamente pertinenti, sostenevi che, non potendola escludere definitivamente dalla vita quotidiana, l’uomo d’oggi cerca di esorcizzarla, chiamandola con altri nomi.
Quando vi è costretto, parla di essa come della “fine della vita”, della “conclusione del cammino terreno” oppure della “uscita dalla scena della storia”, di “decesso” e, relativamente al morto, parla di lui come colui che “non è più”, di chi “si è spento”, di chi “è mancato” e perciò lo chiama “l’estinto”, il “defunto”, il “trapassato”.
Ma perché mai la nostra epoca cerca di stendere un velo di silenzio sulla morte? La morte spezza il corso di un’esistenza, creando vuoti incolmabili. E non c’è alcun rimedio nei suoi confronti, nessuna possibilità di scampo.
Con la sua insuperabile presenza, essa ci fa avvertite la contingenza della nostra esistenza, la precarietà e l’inevitabile fine dei nostri affetti e dei nostri legami sociali. Pertanto è naturale che l’uomo, per liberarsi dall’angoscia dell’annullamento totale, si adoperi per tenerla lontano, per rimuovere dalla sua mente non solo il pensiero, ma anche le possibili esperienze e le dolorose testimonianze. Scrive infatti Blaise Pascal: “Gli uomini, non potendo liberarsi dalla morte, dalla miseria, dall’ignoranza, hanno deciso, per essere felici, di non pensarci”.
Ecco perché rifiutare la morte equivale a precludersi la possibilità di cogliere la propria identità di persone, cioè di esseri finiti, ma partecipi dell’infinito. E allora se non vogliamo rinunciare intenzionalmente ad essere noi stessi, non ci resta che accettare l’angoscia della morte e quindi della sua anticipazione.
Questo ci pone nella condizione di vincere la stessa morte, perché la sottraiamo dalla categoria degli eventi naturali e la restituiamo alla sua essenza di mistero.
E con quel garbo che ti ha sempre contraddistinto, cercavi di spiegarci che così abbiamo modo di comprendere come la nostra vita, più che chiudersi miseramente, si apre alla speranza, più che ripiegarsi sul non essere, cerca di trovare il modo di sconfiggerla.
La sua chiave è la speranza: qualcosa di noi resterà. Che sia l’anima, che sia il ricordo conservato dei nostri cari o soltanto i beni terreni.
E concludevi il tuo ragionamento sostenendo che in questo straordinario cammino che si dischiude davanti a noi, se accettiamo l’angoscia della morte e quindi la sua anticipazione, comunque non siamo soli. Altri infatti l’hanno già percorso. Non ci resta pertanto che seguire il loro esempio e ripeterne l’esperienza. Così potremo guardare in faccia la “grande nemica” e chiamarla, con il Poverello d’Assisi, “sorella Morte”.
Ti vogliamo sempre tanto bene.
La mamma e il papà
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